L’ARTISTA

Qualcosa su di me …

Torino è da sempre stata la mia città, il luogo dove sono nato e cresciuto, dove mi sono formato e da sempre vivo. Fin da bambino ero attratto dalla ricerca della verità. Ingenuamente volevo sapere come funziona il mondo, volevo incontrare Dio, ed ero anche affascinato dalla scienza. Da grande sognavo di diventare un astronomo perché così avrei potuto conoscere l’universo, scoprire pianeti e altre civiltà. Poi con l’adolescenza vennero anni di grande sofferenza. Fu li che iniziai a comprendere la mia vera vocazione: quello che io volevo realmente fare nella vita era rendere visibile l’invisibile, trovare il modo di intuire, conoscere e comunicare il mistero della vita. Ed eccomi servito. Compresi che l’arte poteva realizzare questa magia, un contatto diretto, tangibile con l’assoluto, concreto: cioè forma, colore, suono, azione, perché in fondo il mio era una disperato bisogno di calore umano.

Inizialmente ero attratto dalle opere di Toulouse Lautrec, di Chagall, in seguito più da Matisse e anche dall’arte povera, dal concettuale e da ogni forma d’arte sperimentale. Terminato il corso di studi in pittura all’Accademia Albertina delle Belle Arti, sentivo l’urgenza di realizzare un percorso di evoluzione spirituale vera. Autentica. Era questa tensione che volevo trasformare in segno, in linguaggio espressivo, in forma. Consideravo l’arte un diaframma posto sulla superficie della coscienza, una porta dimensionale in grado di portarmi lontano, oltre la mia solitudine, oltre la mia ombra. Nella catarsi creativa potevo osservare me stesso dall’esterno, iniziavo ad osservare i miei pensieri, un principio di meditazione che poi avrei messo a fuoco meglio con la pratica zen e mindfulness.

… e sulle mie opere

Nell’arte ho sempre sperimentato. Un ciclo di collages sul quale ho lavorato per alcuni anni è intitolato Alétheia, che in greco significa “ciò che è rivelato”, una verità che non si può nascondere. Erano immagini sottratte al flusso mediatico alle quali applicavo un procedimento di scomposizione, di analisi, di manipolazione rituale: piegature, ritagli, interventi di colore trasformavano il segno in una texture, così da ottenere una serie di frammenti poi ricomposti in una sintesi finale. Il messaggio è soltanto apparentemente nascosto dalla logica del segno e del colore: perché l’evidenza molto spesso inganna portandoci sulla strada dell’opinione e del consenso, mentre il distacco dal reale che si compie attraverso l’arte ci permette di scorgere ciò che in realtà è evidente.

In seguito realizzai soprattutto installazioni e sculture. Cercavo un segno in grado di interpretare l’uomo e la società, capace di conciliare etica ed estetica a prescindere da contenuti specifici che appartengono al dibattito delle idee della politica. Iniziai a costruire, utilizzando del fragilissimo cartone, lunghe strutture ad imitazione di un filo spinato, una delle invenzioni tecnologiche moderne più semplici e allo stesso tempo terrificanti. Ne risultava una tessitura leggera e innocua, frutto di una germinazione naturale più che opera dell’uomo. Una finzione aerea che si presta al chiaroscuro, all’equilibrio dei valori luminosi nel dipanarsi ritmico e ipnotico dell’intreccio, dove i filamenti sembrano indicare un codice cifrato, forse il codice genetico della natura umana.

Un tema ricorrente nei miei lavori è il rapporto tra finzione e realtà che si esprime nel paradosso, cosa evidente nel filo spinato di cartone, oppure nelle armi modellate in pasta di pane, pietanza che rappresenta la vita e la dimensione comunitaria; lo vediamo nei video Memorie del fuoco, per fare un esempio, dove un frammento di realtà già percepita in modo instabile diventa un fotogramma che ad un certo momento prende fuoco, consuma e si trasforma in cenere; è evidente nei bruciatori di pane, forme primarie, archetipiche, strumenti performativi al servizio di immaginari rituali arcaici; lo ritroviamo anche nei disegni a terra ispirati a circuiti stampati e microchip nei quali lo spettatore entra dentro, li calpesta, li vive, li abita; nel caso della installazione immersiva Sunya Quantum Space il disegno avvolge le pareti e il soffitto di una stanza intera. Nei RupaTeaBoxes costruiti con scatoline del the, camomille e tisane, anziché essere i circuiti a diventare grandi, siamo noi a diventare piccini e immaginiamo di entrarci all’interno. Oppure, per fare ancora un esempio, in Spiegare il mare, è il mare stesso, origine della vita, a rimanere impresso su teli trasparenti poi ripiegati in eleganti panneggi: perché è impossibile con la sola ragione comprendere ciò che ci comprede e possiamo conoscere soltanto attraverso l’esperienza diretta.

Mi interessano il concetto di vuoto, di presenza mentale, di impermanenza, di non-sé. La cultura orientale li ha indagati a fondo, e lo zen insegna a comprenderli attraverso la pratica, evitando la concettualizzazione e qualunque approccio dottrinale o dogmatico. Dunque i temi si intrecciano, così le mie opere si prestano spesso a differenti livelli di lettura, tra di loro complementari. Questo vale indipendentemente dal linguaggio espressivo adoperato, dal disegno alla poesia visuale, dalla scultura all’installazione, dalla fotografia alla videoarte, sino a sconfinare nel relazionale: NamVisualArt è stato un esperimento di arte partecipata che, con l’iniziativa denominata Obliterazioni, ha coinvolto parecchi artisti, negozi e locali che hanno accolto piccole esposizioni.

Negli ultimi anni mi sto dedicando soprattutto alla pittura. Nel ciclo Happiness Garden (Giardino della Felicità) le geometrie liberamente ispirate ai circuiti stampati costruiscono architetture virtuali nelle quali si inseriscono flussi di energia che diventano forme astratte, fiori, vegetali, animali, spesso anche figure, ispirate dalla vita e dalla storia dell’arte, declinazione infinita della bellezza. La felicità sta nella consapevolezza di una visione d’insieme, uno stato di fusione con il sé profondo che nella pratica creativa a me piace chiamare rupa-yoga, cioè lo yoga della forma. Una mindfulness applicata all’arte può guidare la nostra coscienza, liberare lo spirito e trasmettere questa energia di vita intorno, e raggiungere l’osservatore.